giovedì 27 agosto 2015

#10anniditrail - Alla Columbia Ultra Trail du Mont Blanc 2015

Oggi compio 10 anni di Trail. All'Ultra Trail du Mont Blanc 2015
Oggi sono accadute tre cose che non mi aspettavo. La prima è che sono qui a Chamonix per correre la CCC per la decima volta. E no, dieci anni fa non me lo sarei proprio aspettato. Quando l'amica Laura Calevo, che nel 2006 si occupava dell'ufficio stampa di The North Face, mi ha telefonato per dirmi che "...sai, si corre in montagna. È un po' dura, ma è così affascinante...", non immaginavo che questo particolare tipo di corsa sarebbe stato così importante per me. E men che meno immaginavo che l'avrei fatto diventare un appuntamento lungo ben 10 anni. 

mercoledì 5 agosto 2015

Come si organizza una gara di corsa in montagna: l'Orobie Ultra Trail


La partenza della GTO
Che cosa è un trail? L'ho scritto molte volte. È una gara di corsa in montagna, su sentieri escursionistici. Quei sentieri che si fanno, normalmente, al passo. Con uno zaino pesante, le scarpe da trekking, gli amici e la birra alla fine (o durante).

Dicendo "gara" si dice un po' tutto: la gente, l'organizzazione, la sicurezza, le iscrizioni, i controlli, il materiale obbligatorio... C'è modo e modo di farli. E ci sono le gare "storiche", ben rodate o da sempre un po' scrause, e quelle nuove, che sono una scommessa.

Quando nasce una gara, si fa una scommessa. Riusciranno a organizzarla bene? Verrà gente? Piacerà? Ho partecipato alla versione "corta" (70 km) dell'Orobie Ultra Trail, neonata competizione sulle prealpi bergamasche. E ho corso (o ho tentato di correre) la GTO, il Gran Trail Orobie. Tentato perché mi sono infortunato. Capita. Stiramento di 4 cm al muscolo gracile della coscia sinistra.

Quando le nuvole si aprivano un po', era davvero bello...
Ok, ora ho messo le mani avanti (le ho messe anche quando sono planato in discesa, ma non è mica servito). E posso raccontarvi qualcosa di diverso dalla cronaca della gara. Perché l'Orobie Ultra Trail non è stata soltanto una nuova gara. È stata un esempio da seguire su come si organizza una nuova gara e su come si accolgono i partecipanti.

Sono arrivato a Bergamo la sera del 31 luglio. La partenza è fissata per il giorno dopo a Carona, alle 8.00. Quindi, la prima cosa da fare è andare a ritirare il pettorale. Dopo 10 anni di trail, ho imparato a fare una prima valutazione proprio da qui: e prendendo a modello la gara di riferimento, l'Ultra Trail du Mont Blanc. Spesso si vedono una bella fila, scatoloni pieni di buste e volontari volonterosi che ti chiedono "Come ti chiami?". Una volta ho risposto "Giacomo Leopardi" e la tizia (gentile e carina) ha iniziato... "Leo... Leo... No, non c'è. Aspetta... Francooooo!".

All'ingresso del palazzetto dello Sport di Bergamo c'è un cartellone con i nomi degli iscritti. E a ogni nome (in ordine alfabetico) corrisponde un numero di iscrizione. Vai allo sportello (ce ne sono tanti, suddivisi per numeri), dici il numero di iscrizione, ti chiedono un documento. Con un sorriso. Ecco come si fa.

Questo hanno fatto. Ma non è finita. Ai trail la sicurezza è importante. Ed è importantissimo avere il materiale obbligatorio. In particolare, ci sono quelle cose che chissà perché tutti dimenticano, #tantononsiusanomai. Coperta termica di emergenza, benda elastica per fasciature, fischietto. Il fischietto, in particolare, non è una sciocchezza. Salva la vita. Ci sono studi che dimostrano che se sai fischiare (o appunto hai un fischietto) hai 8 volte di più le probabilità di salvarti in caso di grave incidente in montagna. Puoi chiamare a lungo e ti sentono a grande distanza. 
Il pacco gara dell'Orobie Ultra Trail. Così si fa un pacco gara.

All'Ultra Trail Orobie hanno messo questi elementi essenziali dentro al pacco gara. Il tutto, confezionato in un marsupio rosso proprio carino (che ora uso come porta smartphone/portafogli/chiavi). Particolare interessante: era rossa anche la benda per le fasciature. Non è un dettaglio da poco: permette a tutti gli operatori sul percorso di riconoscere a colpo d'occhio gli infortunati. Chapeau per la scelta.

Non è finita. Oltre alle chiacchiere con le gentilissime addette al controllo, abbiamo ricevuto un paio di birre artigianali. Cosa molto gradita. Per giunta, personalizzate "Ultra Trail" e aromatizzate con bacche di goji e zenzero. Davvero ottime.

Così, con questa bella disposizione d'animo e tutto quanto preparato a puntino, me ne sono andato in albergo a dormire. La mattina dopo, nello stesso posto della consegna pettorali, c'era la navetta, pronta a partire alle 5.30. Il viaggio in autobus fino a Carona è tranquillissimo. Quasi tutti dormono, qualcuno chiacchiera. E si guarda il tempo... che volge al peggio.

Al punto che arrivati a Carona, riceviamo la notizia: partenza rinviata di 30 minuti. Perché lassù, tra i passi che dobbiamo affrontare, ci sono pioggia e nebbia. E avanzare così è pericoloso. Anche qui, bravi organizzatori. Se le gare diventano pericolose, si fermano. Punto. Ora penso a quelli impegnati nella Lunga, da 140 k. Chissà come stanno.

Ore 8.30, il via. Un giro del lago di Carona per sgranare il gruppo e poi su. Molto su. Si inizia a salire e sembra non si smetta mai. In effetti si procede un po' lenti. Complice il fango, o i sassi scivolosi o la troppa gente per un single track. In effetti, forse il giro del lago poteva essere un tantino allungato, vista la strettoia, per dare il tempo al gruppo di assottigliarsi. Si sale verso i Laghi Gemelli, in un paesaggio da fiaba. Tipo il Signore degli Anelli (visto il maltempo, più verso Mordor che alla Contea).

Poi giù verso Alpe Corte e di nuovo su al Brachino e poi alla Capanna 2000. Un momento. Qui le cose cambiano. La salita non diventa soltanto dura. Diventa estremamente dura. Pietre aguzze, spaccasuole e spaccagambe. Vento e acqua, che si alternano a folate di umidità calda e appiccicosa. La Capanna 2000 arriva dopo un lungo traverso, che se ti dà un po' fastidio l'altezza è meglio che non guardi a destra. Dentro la Capanna (che è un vero e bel rifugio), c'è the caldo, buon cibo e tanta gentilezza. Fuori, invece, c'è una discesa che fa paura a guardarla. Perché è una specie di torrente di fango. Inizio a scendere ma non sto in piedi. Infatti, cado. Poi di nuovo. E di nuovo. E poi cado facendo la spaccata. La gamba sinistra stride. Il dolore è una fucilata. E la mia gara è finita.

Solo che per farla finire davvero devo arrivare alla base vita del Passo di Zambla. Ok. Butto giù una tachipirina e via. Un po' zoppico, un po', scaldandomi, sembra che il dolore passi. Se sono fortunato, è solo uno stiramento (lo era). La Base Vita del Passo di Zambia arriva, finalmente. Mi ci sono volute quasi sei ore. Tutto sommato, neanche male.

Qui l'organizzazione si rivela impeccabile. Vengo immediatamente ricevuto dai medici, che mi mandano in palestra dal fisioterapista. Controllo, massaggio, consigli per il recupero e "sdraiati sul lettino, togli i vestiti bagnati e copriti con la coperta termica. Alle 18 parte la navetta". Cavolo, alle 18? Io sono arrivato qui alle 14.30... devo aspettare. Va bene, pazienza. Qui si sta bene.

Arrivano le 18 e arrivano altri trailer che si devono ritirare. L'unica che non arriva è la navetta. Nemmeno alle 18.30. Nemmeno alle 19. E noi l'aspettiamo nel piazzale, senza una tettoia e con indosso i nostri impermeabili. Ok, che qualcosa andasse storto ci sta. 

Anche perché, informati da noi, gli organizzatori si danno da fare. Sono gentili, ci spiegano che il maltempo sta mettendo a dura prova tutto quanto e che stanno pensando di sospendere la gara (lo faranno dopo circa un'ora). Trovano un pullmino che ci porta a Bergamo, lasciandoci dove vogliamo come improvvisando una linea Trail che in città (per ora...) non esiste.

Torno in albergo, con quella vena di tristezza che mi accompagna quando una gara non finisce al traguardo. Tutto sommato, però, è andata bene. Potevo farmi male sul serio.
Stappo una birra "Ultra Trail" ed è davvero ottima.

Come ottimo è stato tutto quanto in questa nuova avventura trail. Dura, durissima. Forse anche troppo per un Trail Classico: in alcuni tratti poteva essere considerata una Skymarathon (vuol dire una gara più dura di un Trail, ma qui si aprirebbe un dibattito infinito...).

Ora ho in testa un paio di pensieri. La mia decima CCC tra tre settimane e una cosa che dovrebbe succedere l'anno prossimo. Non l'hanno ancora detto, ma... quando si corre l'Orobie Ultra Trail 2016?

ps Stamattina, dopo 48 ore di stop sono uscito per allenamento.  10k in scioltezza, pianura a 4.30 al km. Tutto bene, solo un po' di fastidio.

lunedì 20 luglio 2015

E adesso, voglio correre?

Enrico Arcelli. Il Professor Corsa.
Il caldo non c'entra. In fondo, basta idratarsi e uscire presto la mattina o tardi la sera, o la notte. Se trovi la scusa del caldo, anche in questi giorni, vuol dire, appunto, che stai trovando una scusa.

Il motivo è proprio un altro.

Devo andare un po' indietro. Tipo una decina d'anni.

«Potresti sentire Enrico Arcelli».
«E chi è?»
«È un medico dello sport, in gamba. Spiega molto bene».
«Ok, grazie lo chiamo».

Era il 2005, poco prima di Natale. In redazione a Focus, stavo lavorando con Raffaella Procenzano a un pezzo su "Qual è lo sport migliore per...". Solo che, come si dice, "mi mancava l'esperto".
Così, lei mi suggerisce di chiamare Arcelli.

L'intervista va molto bene. È gentilissimo, preparatissimo, pacato ed estremamente chiaro nell'esporre. A un certo punto mi butta lì la frase più importante della mia vita: "Qualsiasi fisico sano, in sei mesi di allenamento può completare una maratona". Click.

Ok. Ci penso un po'. Fumo una sigaretta, una delle 40 che mi facevo ogni giorno. Vado dal direttore di Focus, Sandro Boeri e gli dico: «Senti... sai che c'è sempre più gente che corre la maratona? Prendiamo uno grasso, che fuma, che non fa un tubazzo di niente, lo alleniamo per sei mesi con uno dei più esperti al mondo. Contattiamo un'agenzia di viaggi specializzata in corse intorno al mondo, prepariamo tabelle di allenamento da scaricare da Focus.it e portiamo 100 lettori a correre la maratona di New York. Che ne pensi?». Sandro mi guarda e risponde: «Penso che si può fare. Comincia ad allenarti».

Richiamo Arcelli il giorno dopo. È entusiasta. Vado a trovarlo, prepara le tabelle. Guarda i miei 86 chili e dice «Vedrai che cambiamento».

In effetti, cambia tutto.

A New York ci andiamo. Eccome se ci andiamo. Per 5 volte, fino al 2011. Ci andiamo anche con Mariangela Gatti, la campionessa di maratona (a 75 anni), che New York la vince pure (in categoria, of course). Ci andiamo con Beppe Rossello, che dimagrisce.
Cavolo, se dimagrisce. E che ri-ingrassa. Cavolo, se ri-ingrassa.

Nel frattempo, in questi 10 anni, il mondo scopre la corsa.

E io scopro di aver incontrato un uomo straordinario. Nel senso letterale del termine. Arcelli non è "ordinario". È uno che se gli dici «Sai, mi sono messo a usare la curcuma per condire» ti risponde «Bravissimo! Scegli però il curry, non la curcuma pura. Gli ultimi studi dicono che è meglio assorbita se associata alla piperina, che si trova nel pepe...».

Questo è il prof. Quello che ne sa di più, ma non te lo fa pesare. Quello che per convincerti a passare all'alimentazione Zona ti diceva «Pensa che a me sembrava impossibile mangiare meno pasta». Quello che ti faceva le pulci ogni volta che scrivevi qualcosa. Ma che quella volta, quell'unica volta che ti diceva «È perfetto», sapevi che era vero. Come lui.

Enrico Arcelli è morto. Se l'è portato via un infarto, meno di un mese fa. Di colpo.

Io ci ho messo un mese a scriverne. Perché non mi pare proprio vero, neanche adesso.

A chi telefono la mattina prestissimo, come quella volta nel 2007? Quando un dolore sciatico mi impediva di allenarmi. C'è voluta la sua pazienza per dirmi alle 7.30, dopo un'ora di mie lamentazioni "...potrebbe essere la Sindrome del Piriforme. Prova la fisioterapia e stai tranquillo". La era.

A chi chiedo se è bene o no ungersi come un tacchino di pomata se ti fa male un ginocchio? ("Fai 20 minuti di ghiaccio, due volte al giorno. Non c'è antinfiammatorio migliore. E segui sempre la Zona, mi raccomando").

Adesso Arcelli starà dando consigli di corsa e alimentazione a qualcun altro, da un'altra parte. Come ha scritto qualcuno, "Enrico ora sta spiegando al Capo che suo figlio ha sbagliato tutto. Non si fa una corsa in montagna con un carico sulle spalle dopo una cena a base di soli pane e vino".

Io mi fermo. Mi fermo qui. Perché per conoscere Enrico Arcelli non serve leggere me. Ci sono i suoi libri, da Correre è bello, a La Mia Maratona per arrivare a Voglio Correre.

Il punto di domanda nel titolo è un refuso.
Voglio correre.
Perché è davvero bello. Perché me lo ha insegnato lui.

Ciao Enrico. E grazie.