sabato 8 marzo 2014

La corsa più dura del mondo

La Courmayeur - Champex - Chamonix nell'agosto del 2009.
Era l'agosto del 2009. E per la quarta volta provavo a completare la CCC (Courmayeur - Champex - Chamonix), versione corta ("solo" 100 km) della The North Face Ultra Trail del Monte Bianco. Quattro tentativi, sì. Il primo, nel 2006: neppure sapevo che si potesse correre per 100 km in montagna. Sono crollato dopo 54, a Champex, distrutto nel fisico ma mai stato così vivo nel cuore.

Nel 2007 sono arrivato a Trient (71 km). E non ho saputo continuare, provato dal freddo e dalla pioggia.

Nel 2008 ho rinunciato a Bovine (64 km), dove non ci si può fisicamente ritirare: ho detto al mio compagno Mirko di proseguire e mi sono trascinato, di nuovo, a Trient. Maledetta Trient.

Nel 2009 ho deciso che sarebbe stato l'ultimo tentativo. Quando corri per più di 20 ore, nel freddo, a tratti perfino nella neve anche se è agosto, ti senti solo. E' normale che ti senti solo: e la solitudine ti fa nascere pensieri duri, è il terreno fertile per l'abbandono. In un Ultra Trail, quando pensi di abbandonare, hai già abbandonato. 

Ma io nel 2009 non ero solo. Mia moglie era a Parigi. Mio figlio era con lei, anche se non lo sapevamo. Sarebbe nato 9 mesi dopo. Io ero a Chamonix con la mia mamma. Che mi ha accompagnato dicendomi "Penso che sia da matti fare queste corse, ma se è la quarta volta che provi a farla, vuol dire che ci tieni. Quindi ok, ci vengo con te".

Mia mamma amava molto Chamonix: perché è stata la seconda donna a salire sulla funivia del Monte Bianco, nel 1958. Lo raccontava, dicendo che le avevano offerto un mazzo di fiori. E un grappino, perché lassù faceva un gran freddo. Aveva 15 anni.

Con la mia mamma, al traguardo della CCC nel 2009.
Nel 2009 sono ripartito da Trient con una certa agitazione. Stavo bene, ma non mi ero mai spinto così avanti. Avevo paura. E all'improvviso, nel cuore della notte, mi sono sentito solo.

Ho preso il cellulare e l'ho chiamata. Mi ha detto di stare tranquillo. Mi ha detto che cominciava ad arrivare gente al traguardo. E che lei li vedeva passare stando sul balcone della nostra stanza all'Hotel Alpina.

Mi ha detto che dovevo solo aspettare l'alba. Che, quando l'avrei vista, sarebbe stato un giorno nuovo. E che avrei trovato la forza di continuare a correre. L'ho fatto. E lei aveva ragione.

I chilometri tra Vallorcine e la Tete aux Vents sono stati più facili del previsto. Anche la discesa a Chamonix è volata via. Ho sentito una emozione crescente, sembrava che ogni passo fosse più facile del precedente. Entravo in paese, superavo il ponte. Passavo sotto l'hotel Alpina e facevo le ultime curve tra la gente. Sapevo che lei era là, sul traguardo, ad aspettarmi. Quando mi ha visto, ha fatto un saltino e si è messa a piangere. Così l'ho presa per mano e ho corso con lei fino al traguardo.

Sentivo la gente che diceva "Bravo, Madame!". Perché si sono commossi per lei, che ha corso con me. A cinque metri dal traguardo, ha lasciato la mia mano. "Non ce la faccio a correre così, e poi devi tagliarlo tu, da solo". L'ho fatto. E non l'ho mai dimenticato.

Come non ho mai dimenticato le parole che mi ha detto dopo. "Stanotte, a ogni persona che vedevo passare, io gridavo Bravo Carlo!!! Perché per me era come se tu fossi ciascuno di loro".


Poco prima che mi dicesse "Vai tu". Lei era così.
La mia mamma era così. Oggi ha tagliato il suo traguardo. Quello della corsa più dura del mondo. Io ero con lei, come lei è stata con me per tutta la sua vita.


Ciao, mamma. E grazie di tutto. 

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